sabato 30 giugno 2007

-25 bis- SCOPRIAMO CHE SANTA MAMA ERA UN UOMO

(da Camaldoli a Subbiano, 32 km percorsi oggi, in totale 447 km, ore camminate 96, media generale 4,6 km all’ora, paesi attraversati Poppi, Partina, Soci, Pianacci, Bibbiena, Pollino, Corsalone, Castelfocognano, Rassina, Santa Mama, Calbenzano, Spedaletto)

Gli avvenimenti e i problemi della giornata: primo) bisogna recuperare i nostri documenti abbandonati a Campigna e temporaneamente dirottati su Stia, secondo) il fornaio di Camaldoli va a sbattere senza alcun motivo contro un palo a qualche decina di metri da noi, strage evitata per un soffio, terzo) come arginare Alessandro che ha cominciato a parlare ieri verso le cinque e non ha ancora smesso. L’attività principale della prima mattinata, subito dopo la colazione, è quella cartografica. Vengono sguainate tutte le cartine che abbiamo ancora (molte sono quelle abbandonate lungo il percorso nell’inutile e continuo tentativo di alleggerire gli zaini). Le stendiamo tutte sui tavolini all’aperto dell’hotel Camaldoli e con l’aiuto di Maurizio, il gestore dell’albergo e primo toscanaccio nel quale ci siamo imbattuti, approntiamo i piani di battaglia. Un estraneo che passasse in questo momento vicino a noi avrebbe l’impressione di spiare la riunione dello Stato Maggiore prima della battaglia definitiva. L’entusiasmo è quello delle truppe di Nelson alla vigilia della battaglia di Trafalgar. Io, preso da una ventata di pericolosissimo ottimismo, sostengo che saremo a Cura di Vetralla il 7 luglio progettando tappe da trenta km e qualche volta anche 35. Giorgio mi guarda con la stessa condiscendenza con la quale lo psichiatra visita per la prima volta un cliente che sostiene di essere Napoleone, mi dice: “Sì, sì caro. Va tutto bene non preoccuparti”, chiude le carte e si avvia.
La truppa ha perso Carlo, Carla e Marco. Ma arriva, a bordo di uno scooterone, Massimo proveniente da Forte dei Marmi. Molla lo scooterone nel parcheggio e parte con noi. E’ proprio in questo momento che un furgone da fornaio ci supera, fa ancora dieci metri, comincia a zizagare sulla strada, punta con decisione un palo piantato sul muretto al bordo della strada e si schianta. Il conducente esce incolume ma un po’ stranito e spiega che si è distratto nel tentativo di prendere una matita nel portaoggetti. Se la splendida idea gli fosse venuta cinque secondi prima non saremmo qui a raccontarvi queste cose. “La lunga marcetta” Masetti-Cura sarebbe diventata “la marcetta funebre” Masetti-Camaldoli.
La strada, anche oggi, è in discesa, ma discende dolcemente nel paesaggio romantico delle colline toscane. Fine degli abeti bianchi, dei faggi, dei castagni e inizio dei tassi, delle acacie e dei primi timidi cipressi. Prendiamo contatto con un piccolo fiumiciattolo di nome Arno. Grazie a lui, tanto tempo fa, i tronchi della foresta casentinese venivano trasportati prima a Firenza e poi a Pisa per contribuire alla costruzione delle navi della Repubblica Marinara. Un viaggio ancora più lento del nostro. Ci mettevano tre settimane.
Non è solo il paesaggio che cambia. I cambiamenti sono radicali anche per il dialetto e per la gastronomia. Nuove parole, nuovi accenti nel giro di un paio di km, senza sfumature. Non sentiamo ancora “bischero” perché, scopriamo, l’area del bischero è più in là, ad Arezzo. Dobbiamo aspettare domani, quindi, per sentirci dare ufficialmente dei bischeri. E poi il cibo. Da un momento all’altro sono scomparse dai nostri pasti le piadine, come non fossero mai esistite. La riflessione sembra stupida ma noi decidiamo che non lo è. Anzi è una profonda considerazione di carattere socio-culturale. Che senso ha che tutti, al di là della Calla, mangino piadine e che al di qua della Calla, nessuno? Parte il dibattito e qualche istante prima che Giorgio spari “Anche questa è Italia”, Paolo apre il capitolo spriz. La sua prolusione dura sui quindici minuti. Nessuno capisce una mazza di quello che vorrebbe sostenere e allora dirottiamo il discorso sulla salsa rubra e sul ketchup e sugli americani che ci fregano sempre le idee e poi le battezzano come piace a loro. La Statale 71 umbrocasentinese ci porta, sotto un caldo che sembra tornato quello dei bei tempi dell’Emilia-Romagna, a Soci, dove scopriamo una sorprendente comunità indiana e una piazza pronta per quella che ci appare come la più piccola festa dell’Unità del mondo. Ci rendiamo anche conto che abbiamo fatto ormai più di 400 km e ci siamo imbattuti in due sole feste dell’Unità. Vorrà dire qualcosa? Dopo Soci, Bibbiena. Vinciamo con estrema facilità la tentazione di arrampicarci sulle strade che portano al centro storico e, quasi fosse un appuntamento del destino, passando davanti alla stazione, ci vengono incontro le padovane. Le padovane sono un gruppo indistinto di ragazze frequentatrici di Caterpillar e Catersport, coordinate da Daniela. A volte se ne incontrano due, a volte cinque. Le puoi incrociare alla festa di Capodanno di Catersport, oppure a Senigallia per il Caterraduno. Oppure anche alla stazione di Bibbiena dove arrivano dopo un viaggio di quattro ore avendo preso solo un generico appuntamento molto confuso con Giorgio. Quando, davanti alla stazione, le vediamo scendere dal treno io e Giorgio ci guardiamo. “La casualità della linea retta!”
Il gruppo delle padovane, questa volta, è composto da Daniela, trentacinquenne in cerca della sua strada nel settore internettiano, e Elena, ventottenne farmacista comunale. Scopriamo subito che si tratta di padovane false. Elena è di Vigodarzere, e Daniela è di Tencarola. Ma siccome ignoriamo praticamente tutto del padovano, la cosa non ci turba.
Da Bibbiena in poi comincia il solito dramma del pranzo. Quando arriviamo a Pollino e decidiamo che non si può più andare avanti senza addentare qualcosa presa dal magico zaino di Paolo, avvistiamo un bar con portico. Ecco, stavolta abbiamo avuto fortuna. Giorgio avvisa trionfante: “Non è chiuso per turno settimanale”. Paolo precisa: “E’ chiuso per ferie estive”. I bar e i ristoranti chiusi, in realtà, sono diventati una consuetudine quasi piacevole da quando Paolo ci ha abituati alla sua cucina. In fondo troviamo i tavolini tutti liberi per noi. Paolo apparecchia, distribuisce le vivande stando molto attento ai particolari e anche ai gusti personali di ognuno. Sa che a me piace la birra fredda. E voilà, birra fredda per me. Come faccia ad avere la birra fredda anche oltre i 30 gradi all’ombra resta un mistero che non vuole rivelare. Sa che a Giorgio piace il formaggio e lui ne porta vari tipi, per non scontentarlo. Ogni tanto scatta la domanda in apparenza affettuosa ma in realtà subdola e interessata: “Paolo quando parti?” La nostra speranza è che non parta mai più. Ma i suoi piedi ormai ridotti – secondo i suoi racconti – a luganeghe non stagionate non depongono a favore della sua permanenza. Noi preghiamo per lui San Podologo, il protettore dei piedi e delle unghie. Domani è un altro giorno. Ci penseremo domani.
A Pollino ci lascia Alessandro Ceratti il logorroico. In realtà non ha camminato molto con noi. Ieri dall’Eremo a Camaldoli, oggi da Camaldoli a Soci, quindici km in tutto. Da Soci ha preso una corriera per tornare a Camaldoli, ha perso una coincidenza ma alla fine ce l’ha fatta. Da Camaldoli è andato a Stia a prendere i nostri documenti, poi ci ha raggiunto a Pollino da lì ha accompagnato Massimo a Bibbiena. Eppoi è partito per le Cinque Terre. Più che un marciatore è sembrato un pony express. La sua partenza abbassa decisamente il livello acustico della truppa ma perdiamo un socio gentile e disponibile.
Il “pranzo” nel bar chiuso per ferie di Pollino rappresenta un momento importante di tutta la nostra avventura. Uno snodo emotivo. Ci rendiamo conto di essere in tanti. Sembra una riunione conviviale di famiglia, con un lessico ormai nostro, con le nostre fisime, le nostre polemiche, i nostri silenzi. Franco se ne sta come al solito sulle sue ma tra una tanica di birra e l’altra racconta delle scarpe che gli fanno male, risponde educatamente anche a chi gli chiede perché ha tre grosse rughe sulla pelata, ci spiega l’intricata situazione politica di Vetralla, sta al gioco delle nostre battute a volte anche pesanti sulla sua mole veramente notevole (120 chili, 45 di piede, xxxxl di taglia. Massimo, scoperto il fatto che non sa come tornare a prendere lo scooterone a Camaldoli, comincia ad imprecare. “Ho sbagliato la logistica”, dice. “Debbo tornare indietro”. Paolo gestisce il catering in silenzio. Si infiamma solo durante la crociata sulla purezza dello spriz. Alessandro tocca il livello più basso del tacchinaggio internazionale chiedendo a Daniela: “Ma non ci siamo già visti da qualche parte?” Daniela racconta del suo progetto di andare a fare il Camino di Santiago di Compostela. Giorgio polemizza. “Ma allora ci stai usando come trainer!” Elena respinge le nostre pressanti richieste di informazioni sulle cure migliori ai nostri mali. A qualsiasi racconto anche il più drammatico sui nostri malanni, dalla ritenzione idrica alle vesciche, ai dolori muscolari, invece che darci consigli risponde: “Mi dispiace”. Ma non si tira indietro quando la conversazione slitta prevedibilmente sul Viagra, sui preservativi e – punto culminante dell’interesse farmaceutico degli italiani, sulle supposte. Dice Elena: “Molte medicine sono in pasticche e in supposte”. “E tu cosa consigli?”, chiede lo spudorato Giorgio credendo di metterla in imbarazzo. “Se il cliente mi è simpatico gli dò le pasticche, se è antipatico gli dò le supposte”, spiega Elena prima di lanciarsi nella descrizione di un improbabile sparasupposte che consiglia a tutti. Giorgio scopre che accanto al bar chiuso c’è un parrucchiere aperto e comincia ad infastidire tutte le belle signore che escono commentando pesantemente le loro acconciature da matrimonio di serie B. Io accuso la fatica e me ne sto un po’ in disparte massaggiandomi il polpaccio destro dolorante. E’ chiaramente un tendine infiammato e il riferimento mitologico ad Achille che gli altri tirano fuori per consolarmi non lenisce il fastidio. Soprattutto sono preoccupato del fatto che abbiamo prenotato l’albergo Gravenna, vicino a Subbiano. Mancano 15 km.
Ripartiamo dopo che Paolo ha sparecchiato. Incontriamo uno strano paese, Santa Mama. Nome singolare, Giorgio sostiene che è una santa giamaicana, patrona della canna e dell’amore libero. Io punto di più su una scorretta santificazione del ruolo materno. Niente di tutto questo. Poco dopo un allevamento di struzzi (tre struzzi piuttosto spelacchiati e stanchi di essere costretti a vivere ai bordi della statale 71 umbrocasentinese) incontriamo una simpatica signora che ci racconta i fasti dell’Arno, quando l’Arno era l’Arno e non un rigagnolo come adesso. “Si andava all’Arno”, racconta, “di nascosto dei genitori”. Giorgio che quando non è stanco, quando non ha le vesciche, quando non ha la febbre, è spiritoso, le chiede. “Ma lei li sciacquava i panni?” La signora sorride e ci saluta dicendoci: “Vi ringrazio di esistere ancora”. Appesantiti anche da questa responsabilità entriamo un po’ solennemente in Santa Mama. E’ tardi ma io sono veramente stanco e gli altri non si oppongono. Vorrà dire qualcosa? La sosta viene premiata. Primo, faccio un pediluvio freddo che mi rimette in carreggiata. Secondo, otteniamo la spiegazione delle origini del nome Santa Mama. Viene da san Mamante, che per essere una santa era un po’ uomo. Il protettore dei transgender? Terzo, birra, fanta e albicocche per tutti. Quarto, Giorgio scopre tutto felice che nel bar sono sintonizzati su Radio2. Chiede baldanzoso: “Ma allora ascoltate Catersport la domenica”. “No, la domenica siamo chiusi”. Quinto, una sommaria ricerca sociologica sul campo, basata soprattutto sull’ascolto delle conversazioni dei paesani, ci fa scoprire che a Santa Mama sono quasi tutti rumeni. Soddisfatti di questo grande esempio di integrazione che abbiamo individuato, stiamo quasi per andarcene quando una vecchina ci precisa: “I rumeni? Quando li incontriamo ci voltiamo dall’altra parte”.
Arriviamo all’albergo alle otto e mezza. Abbiamo fatto 32 km. Un’esagerazione. L’ultima volta che abbiamo superato i trenta km Giorgio ha avuto la febbre. La penultima volta che li abbiamo superati, la febbre l’ho avuta io. Ma ormai siamo degli ometti. Niente febbre. Ma io me ne vado a dormire subito. Dopo avere fatto infiniti pediluvi freddi e massaggi con creme apposite al mio dolorante tendine. Anche Paolo e Franco si ritirano presto: vanno a leccarsi, metaforicamente, i loro piedi bollenti. Giorgio invece, insieme ad Elena e a Daniela, violenta la notte di Subbiano, facendo le tre per inviare video e foto alla nostro team mediatico, Alessandro Girardi a Trento e Barbara Melotti a Roma. Siamo rimasti in sei ma domattina ci raggiunge Corrado.


Tutte le foto di oggi. Le foto di Massimo.
noi siamo qui - video

1 commento:

Anonimo ha detto...

Vorrei farvi i complimenti per la vostra impresa e intanto perchè siete venuti in questa tappa nella zona dove abito.. Nel leggere le vostre descrizioni dei posti e dei personaggi ho davvero sorriso. Cmq alcune precisazioni, il fornaio non è di Camaldoli ma di Partina il paese dove abito dopo che mi sono sposata e vi giuro che ancora oggi lo prendiamo in giro per questa sua distrazione!!!! E poi sentirvi parlare di Santa Mama... li abita mia nonna.. o meglio ha la casa, lei adesso abita con i miei genitori ad Arezzo, purtroppo o per fortuna come avete detto voi adesso è abitato perlopiù da rumeni, ma una decina di anni fa quando ci passavo le mie estati vi giuro era uno spasso. Un microcosmo eccezionale fatto di vecchiette appostate fuori dalla porta con le seggiole impagliate a fare i cappelli di lana e di pescatori lungo l'arno. E poi la sera tutti fuori per il "borgo" o alla bottega dalla Claudia. Non ci crederete ma Santa Mama una volta c'era oltre il macellaio ( che poi è quello degli struzzi) anche il cinema.. non ci credevo neanche io quando me lo ha detto mio padre... anche questa è l'Italia!