-7 bis- LA TRAGEDIA DEI MUSCOLI DELLE SPALLE
I pochi chilometri che abbiamo fatto ieri, solo 11, hanno l’effetto benefico sul fisico che non dà segni evidenti di acciacchi. Stanchezza zero. La serata si è conclusa all’antica birreria Summano, con cena a base di wurstel farciti e birra non filtrata. Luisa ci fa da anfitrione. E’ questo il bello della nostra lunga marcetta. Non siamo mai soli. Oggi per esempio siamo stati intercettati da un piccolo plotoncino in bicicletta che ci è venuto incontro alla fine della piana di Schio portandoci generi di conforto. Paola ha trascinato con se suo marito Flavio, assessore alla cultura di Schio, suo figlio e sua sorella Katia col marito. Prendiamo la via dei campi, passiamo attraverso una stalla modello con le mucche al fresco di un impianto di aria condizionata e raggiungiamo la cascina di Sandra dove conosciamo anche Lorenzo e suo fratello. Merlot, clinto, formaggio fatto con latte biologico, soppressa, ciliegie, torta, un gran bel vivere. Praticamente in preda a una ciucca molesta riprendiamo il cammino leggermente appesantiti giurando che è l’ultima volta che facciamo la sciocchezza di mangiare a mezzogiorno dopo solo due ore di cammino. Il fatto è che eravamo troppo felici di aver superato indenni la zona industriale di Schio, episodio che ha messo a dura prova la nostra resistenza (oltretutto era la seconda volta: avevamo già fatto la traversata nella prova generale di un mese fa). Ma ci siamo sbizzarriti con la telecamera mettendo in luce la nostra abilità registica. Giorgio tende molto agli effetti speciali. “Smettila di fare lo Spielberg”, gli dico e da quel momento io lo chiamo Spielberg e lui mi chiama fratelli Vanzina. Diamo il meglio di noi nell’attraversamento pericoloso della tangenziale, un pezzo di alta cinematografia. “Solo grandi registi possono rendere la tragedia di questo deserto dell’anima”, dice Giorgio in preda all’esaltamento da corazzata Potemkin. Incredibilmente, chi sa come, scopro di avere una spina di legno nel dito. Giorgio ravana con uno spillo tutto contento di una goccia di sangue che esce e che naturalmente riprende. “E’ il nostro primo incidente”, recita trionfalmente riprendendo il tutto come fosse una puntata di Er da mandare in fascia protetta.
Chilometro dopo chilometro battiamo il record: 29 km in tutto da Piovene Rocchette a Cornedo Vicentino. Diciamolo, siamo sempre in provincia di Vicenza, non ci si schioda dai magnagati. Tento in tutte le maniere di scoprire se Piovene Rocchette si chiama così in onore di Guido Piovene. Mi dicono di smetterla di fare il finto colto e visto che non ho letto niente di Piovene, in fondo hanno ragione. In compenso me la tiro con Fogazzaro che, poveretto, aveva qualcosa a che fare con Velo d’Astico e con Meneghello che ovviamente non riusciva mai a “liberarsi” di Malo.
Abbiamo ormai dimenticato la “discesa” drammatica di Luserna, quel tratto di due ore di bosco che Giorgio ha vissuto come la prova dell’esistenza di Dio che lo ha protetto sullo stretto ed esposto sentiero tra i burroni. Né basta il racconto di Lorenzo che gli spiega di averlo fatto in bicicletta a convincere Giorgio che non era niente di speciale e che la montagna è fatta così, sentieri, rocce, burroni. Quella di oggi è stata una tappa molto faticosa con il gran premio della montagna di Priabona dove Giorgio resta incantato di fronte al cartello “obbligo di montare le catene”. Mi chiede: “Varrà anche con 35 gradi all’ombra come oggi?”. Ci accorgiamo che stiamo sbagliando tutto dal punto di vista dell’alimentazione. Convinti che l’Italia sia una nazione fondata sulle fontanelle scopriamo che non è vero e siamo sempre senza acqua. Giorgio mi guarda con commiserazione quando si accorge che da 20 km trasporto mezzo litro di Clinto. “Acqua zero ma Clinto tanto”, dice sprezzante. Mi difendo facendogli notare i due sfilatini con soppressa che spuntano dal suo zaino. La salita di Priabona ci sembra veramente impegnativa e lunga. Non sapremo mai se era soltanto l’effetto della sorpresa. Ma il cartello “il passo è aperto” e i tanti ciclisti con la lingua di fuori ci convincono che stiamo superando una prova da Cima Coppi. Sono già le sei e vorremmo fermarci. “In cima, vedrai”, cerco di tranquillizzare Giorgio in preda a conati di insofferenza. “In un posto del genere troveremo sicuramente un giardino con birra e gelati e un bel bed and breakfast gestito da gente gentile e accogliente”. Tralascio lo sguardo gelido di Giorgio quando si rende conto della realtà. Priabona è un non luogo, due bar improbabili, dai quali è meglio fuggire, e una strada. Tiriamo avanti, un’ora che sembra un secolo e siamo a Cornedo Vicentino, un’area industriale che quella di Schio sembrava Gardaland. In condizioni veramente penose, seguiamo come fosse il profeta il Garmin che ci conduce all’albergo -si fa per dire- Vittoria dove io stramazzo e Giorgio pure. Lui è rimasto colpito alle ossa dei piedi, io ai muscoli delle spalle. Durante la giornata ci hanno telefonato Paolo, Mimmo, Paola e Tommy che cammineranno con noi domenica per un ventina di chilometri. Furbescamente racconto a Mimmo la tragedia delle mie spalle. Lui che è uomo di cultura e di comprensione facile dice: “Il tuo zaino sarà il mio zaino”. Vado a letto tranquillo dopo aver letto i dati Garmin: km totali 59,66 (oggi 29,7), ore camminate 13 alla media di 4,6 km all’ora. Meta della tappa successiva Meledo, oltre la soglia psicologica dell’autostrada Serenissima. In teoria.
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