venerdì 29 giugno 2007

-24 bis- ROMAGNA ADDIO

(da Campigna a Camaldoli, km 18, per un totale di km 415, alla media di 4,6 km all’ora, ore camminate 90, dislivello dai 1080 metri sul livello del mare di Campigna ai 1530 di Poggio Scali sul crinale del sentiero Gea 00)

Carlo, guida ambientale di Rimini, Marco, giovane pensionato romagnolo ex magazziniere di Gabicce Mare, Paolo, la nostra cambusa vivente di Padova, Carla, maestra di matematica finanziaria di Forlì, Franco, esperto di trattori finlandesi di Cura di Vetralla, Alessandro, blogghista del mio blog, giovane dipietrista assessore comunale di Cusano Milanino. Oggi siamo in otto, un piccolo plotone di camminatori in transumanza. E abbiamo perso Campi, il cagnotto che ci ha fatto da guida ieri. Pensavamo che ci avesse lasciati per sempre e che fosse tornato nella sua casa di legno di Lago di Corniolo. La cosa ci dispiaceva, naturalmente, ma eravamo anche felici che fosse tornato dai suoi. Invece stamattina ce lo troviamo accucciato davanti alla porta dell’albergo di Campigna che ci aspetta fedele, con occhi affettuosi e pronto per la partenza. Il grosso San Bernardo dell’albergo lo infastidisce ma lui sa come comportarsi con le grosse taglie. Da una parte è piacevole pensare di aver fatto breccia nel cuore di un botolone degli Appennini. Dall’altra non sappiamo che decisione prendere. Ci piace l’idea che ci segua fino a Cura di Vetralla come ci è piaciuto il fatto che abbia creduto nella nostra marcetta fin dall’inizio, senza chiederci perché. Easy Rider, la route 66, James Dean, Forrest Gump, Kerouac, On the road. Campi non sa nulla di tutto ciò. Ma crede in noi. Quando lo vediamo caricato a forza su un’auto che lo riporta indietro, e lo sentiamo ringhiare, non ci basta pensare che lo facciamo per il suo bene. Ci sentiamo dei bastardi. E’ la dura vita del viandante.
Vediamo Paolo trafficare in un andirivieni fra le cucine e il suo zaino che si gonfia a dismisura. Non abbiamo bisogno di chiedere. Sta lavorando per noi. Carlo, la guida ambientale di Rimini arriva insieme a Marco, il giovane pensionato di Gabicce Mare. Si parte abbastanza presto prendendo il sentiero per il passo della Calla che costeggia la strada statale. Siamo immersi in un mare di verde, la celebre foresta casentinese. Non solo non fa caldo ma direi proprio che fa fresco. Per Giorgio fa invece un freddo cane. “Spira un vento gelido”, dice rabbrividendo da sotto la giacca a vento come se parlasse della sua esperienza nel gulag siberiano. Continua a chiedere in maniera petulante: “Ma voi non avete freddo?” allibito del fatto che noi tre indossiamo una leggerissima maglietta. La foresta è misteriosa e affascinante. Sembra quella di Biancaneve e i sette nani. Giorgio è Brontolo. Carla è Biancaneve. Io ovviamente Pisolo. La salita è salita ma senza esagerazioni. Arrivati in cima passiamo il confine tra Romagna e Toscana. Qualcosa di più del limite tra due regioni, anche se, ci dicono, per un romagnolo la bestia nera non è il toscano ma il marchigiano. “I marchigiani erano quelli che riscuotevano le gabelle ai tempi dello Stato Pontificio”, spiega Marco. Robe che non si dimenticano nemmeno dopo secoli. Per noi è la quarta regione dopo Trentino, Veneto, Emilia-Romagna. Ma soprattutto rappresenta la fine del lungo inseguimento della nostra personalissima linea gotica. Come se fossero finite tutte le salite e d’ora in poi fosse tutto in discesa. Imbocchiamo il sentiero del crinale, il mitico Gea 00. A sinistra la Romagna, sembra un po’ più chiara. La Toscana, a destra, appare più scura. Probabilmente i romagnoli hanno tagliato più alberi e hanno lasciato più vuoti. Il crinale non è come ci aspettavamo. Giorgio pensava a una lunga striscia senza alberi, assolata, con grandi vedute sugli Appennini. Io che – come sapete - conosco la montagna e che ho una visione più “alpina” pensavo ad un crinale più ripido, con burroni a destra e a sinistra, che desse l’impressione dell’altezza, e un sentiero in mezzo, sassoso. Invece camminiamo tutto il giorno su una specie di strada forestale, buia e magica, all’ombra di faggi secolari, immersi in una temperatura da frigo bar. Una passeggiata quasi al coperto, senza vedere il cielo se non un paio di volte, una interminabile galleria verde. Forse l’unica volta che vediamo il cielo è al Poggio Scali, tetto di questo tratto di 00 e tetto della nostra lunga marcetta con i suoi 1530 slm. Un panettone con vista a 360 gradi. Come d’obbligo qualcuno dice: “Con un po’ meno di foschia si vedrebbe il mare”. Mi sento in diritto di dire: “Guardate a nord, si vede Lavarone. Guardate a sud, si vede Vetralla”. Giorgio assiste senza parole al nostro delirio e alla fine sbotta: “Ma che vi siete bevuti?”
Sul tetto del Poggio Scali ci beviamo due Forst in lattina gelate. E’ Paolo che le tira fuori dal suo zaino miracoloso insieme a: tre panini con prosciutto crudo e formaggio, due etti e mezzo di mortadella (“E’ mortadella “Novecento””, dice, ma adesso la chiamano “prosciuttella”), tre etti di stracchino, tre etti di olive, due etti di salame di Felino, mezzo chilo di pane al latte. Alla fine salta fuori anche un pacchetto di cantuccini. Non è più il Paolo di una volta. Ha dimenticato il Vin Santo. Sull’affollata cima di Poggio Scali, mentre noi siamo impegnatissimi nello scontato rito giapponese delle fotografie, arrivano accaldati un ragazzo e una ragazza olandesi nascosti sotto due zainoni che ridicolizzano i nostri. Vengono da Chiusi e vanno al passo del Muraglione, un trekking da una settimana. Tirano fuori una megapagnotta di pane toscano da almeno un chilo, lo spalmano di formaggi vari, issano di nuovo i loro zaini. Ma non possiamo lasciarli partire prima di aver soddisfatto la nostra curiosità morbosa: quanto pesano i loro zaini? La ragazza dice: “Thirteen”. Trenta, traduco io che considero l’inglese la mia lingua madre e che, soprattutto, ho sollevato quel mostro fatto bagaglio. “Tredici”, mi corregge Giorgio che frequenta il Wall Street Institute di Corso Buenos Aires. Parte il dibattito. Carlo dice “Non meno di 15”. Marco con coraggio parla di 17 chili. Giorgio non si pronuncia. “Non voglio sapere nulla degli zaini altrui, mi basta il mio”. La fanciulla olandese con una mano sola solleva lo zaino, lo indossa, e parte come una gazzella.
E’ questo il momento in cui il nostro gruppo diventa un gruppone. Siamo inseguiti da nord da Carla e ci viene incontro da sud Franco. Il ricongiungimento generale avviene sotto Poggio Scali nonostante i telefonini non funzionino. E’ stato il dramma delle giornata. Vodafone no, Tim qualche tacca, Wind peggio che andar di notte. Il collegamento con Franco è il più complicato. Lui non sa dove noi siamo e noi non sappiamo dove sia lui. Ci inseguiamo per un paio di ore urlando nella foresta nera disperati appelli : “Non ti sento! Dove sei? Parla più forte! Spostati”. Improvvisamente il miracolo. Sento perfettamente la voce di Franco e lui mi conferma che la mia voce gli arriva chiara e forte. “Finalmente possiamo parlare”, gli continuo ad urlare. “Se la smetti di urlare e ti volti lo vedi”, ridacchia Giorgio. La banda Vodafone-Tim-Wind e il suo disinteresse per la copertura totale ed efficiente del territorio italiano ci fa saltare il quotidiano collegamento con Barabba. La Laura e Matteo Caccia ce la mettono tutta ma – come si dice oggi nelle migliori famiglie – non c’è campo. Tradotto: niente palle. Ci risentiamo lunedì.
Finalmente la discesa, veramente faticosa, e l’Eremo dei monaci camaldolesi. Una serie di casette molto carine, una chiesa, un territorio sacro circondato da croci e protetto da un lungo e alto muro che ricorda la caratteristica principale del luogo, la clausura. Visitiamo la cella di San Romualdo, il fondatore dell’Ordine, facciamo i turisti nel negozietto, ci esibiamo nell’orrenda foto di gruppo. All’Eremo si aggrega Alessandro, arrivato da Cusano Milanino. A questo punto siamo finalmente otto. E tutti ed otto giù verso il paese. Un’altra mezzora di discesa. I piedi cominciano a dolere. A Giorgio è passato per la fatica anche il freddo. Arriviamo all’albergo Camaldoli dove ci aspettano due o tre sorprese. La prima: abbiamo dimenticato i documenti a Campigna. La scoperta ha un sapore di già vissuto. Sembra ieri quando ci accorgemmo che la mia patente e la Carta di Identità di Giorgio avevano preferito stare ancora un giorno a Cornedo prima che Gian Paolo li andasse a recuperare. La seconda: finalmente il bucato. Per Giorgio è l’equivalente della festa di Halloween. Si presenta gioioso nella mia stanza pretendendo la consegna di mutande, calzini e magliette bianche. Facendo uso di tutta la sua carica erotica e la sua capacità di seduzione è riuscito a convincere Maria Pia, moglie di Maurizio, gestore dell’albergo, a concederci la sua lavatrice. La terza: incontro ravvicinato con il cinghiale che scopriamo mentre passeggia tranquillo fra i tavolini del bar di fronte all’albergo. Alessandro, uomo che unisce la sconsideratezza al dipietrismo più sfrenato, si precipita dal povero cinghialino con un pezzo di pane in mano e cerca di carezzarlo e nutrirlo. Maurizio lo redarguisce. “Ieri un grullo come te è finito all’ospedale con un dito perforato”, dice. E poi: “Se lo viene a sapere la forestale ti fa la multa per adescamento di animale selvatico”. L’adescatore di animali selvatici si ritira vergognoso. Per punizione Alessandro viene inviato a recuperare i nostri documenti.
Bollettino medico: spossatezza generale per entrambi, ma la febbre è scomparsa, la piccola vescica mia non rompe, le vesciche di Giorgio sono un ricordo.
Telefonate poche: la mancanza di tacche ha reso difficoltose le comunicazioni e anche l’invio di foto e video. Per questo il nostro sito da ieri non ha aggiornamenti visivi. Riescono a superare il black out Massimo da Viareggio e Daniela da Padova per avvertirci che arriveranno domani a Bibbiena. Telefona anche Fulvia per darmi la fondamentale notizia che un’anguria al giorno toglie la ritenzione idrica di torno. Telefona anche Toni Capuozzo. Tra continue scariche cadute di linea ci vuole dire il suo entusiasmo per il racconto di ieri su Wilmer il poliziotto romagnol-californiano. Anche Patrizia e Piergiorgio ci avvertono che vogliono aggregarsi. Patrizia fin dai prossimi giorni, Piergiorgio quando saremo nel Lazio.


Tutte le foto di oggi.
noi siamo qui - video

2 commenti:

Isabella Guarini ha detto...

L'ho sempre detto che la montagna purifica il corpo e lo spirito. Vi vedo in gran forma, il panorama è da cinemascope,il cane è simpaticissimo, i tronchi di faggio sono un'opera d'arte. Mi viene da pensare a quali Barbari siano passati da quelle parti per conquistare Roma.Boh!

Anonimo ha detto...

il cane.... campi.... si chiama simba !! ed è il nostro cane di famiglia, incrocio tra un bassotto e un husky che vivevano a campigna. :)))

Lucia Pini.