venerdì 22 giugno 2007

-18 bis- WANDERING DEMOCRATICO

(da Faenza a Meldola, 33 km oggi, 340 km totali, media generale in movimento 4,6 km all’ora, paesi attraversati Villagrappa, Quattro, Forlì, San Varano, San Martino in Strada)

L’abbiamo chiamata “democrazia partecipativa in movimento”. Nome pomposo di cui andiamo orgogliosi. La “democrazia partecipativa in movimento” noi l’applichiamo e ci sembra di essere gli unici democratici in Italia. Non nel senso di partiti. “Come sarebbe a dire che non siamo partiti”, dice Giorgio. “Siamo partiti anche se non siamo arrivati”. Tipiche riflessioni profonde da asfalto torrido e da 35 gradi in su. Ma il problema è serio. In Italia, non c’è bisogno che ve lo ricordiamo, la democrazia spesso è solo apparente. E anche limitata. Non viene applicata nemmeno nel solenne momento delle elezioni che dovrebbero essere l’atto democratico supremo, e invece consentono al cittadino, al massimo, di prendere atto di scelte fatte nelle stanze del potere politico. In questa Italia dove nessuno ti invita realmente a partecipare, e quando lo fai vieni subito respinto, la nostra idea di rendere pubblico il numero di telefono e di invitare chiunque ad unirsi a noi, ci fa sentire dei campioni della democrazia, audaci e rivoluzionari. Come dar torto alla nostra amica Arianna che ci ha scritto: “State facendo una cosa culissima. State cambiando il sistema”. Andiamo oltre. Le istituzioni sono lontane dal Paese reale? Noi operiamo in senso inverso. Modestia a parte. Ma è’ un’operazione a rischio. Né io né Giorgio, in condizioni normali, penseremmo di fare 30 km con perfetti sconosciuti, magari fascisti, magari leghisti, magari berlusconiani, magari rompiballe. Di che cosa si parla con uno di destra per otto ore camminando e senza litigare?
Oggi si presenta all’albergo Vittoria di Faenza Guglielmo, commercialista di Bologna. E’ elegantissimo, tutto vestito di bianco come un tennista degli anni Trenta. Brandisce due racchette da nordic walking e ha infilati nelle orecchie due auricolari collegati a una radiolina. Non se li toglierà mai. “Musica classica”, dice. “Radio Tre”. Guglielmo ha una predilezione per Radio Tre. Ha fatto pezzi di “francigena” insieme a Sergio Valzania, direttore di Radio Tre e Radio Due. Ma ha fatto anche pezzi di “camino di Santiago”. E’ un camminatore insomma. Un viandante come noi. Noi siamo curiosi di avere notizie di questi due itinerari che ogni tanto qualcuno tira in ballo quando scopre quello che stiamo facendo. E’ con grande felicità e soddisfazione quindi che scopriamo il trucco. Guglielmo ci racconta che lui, come molti camminatori, si stabilisce in un albergo, fa una ventina di km, poi torna in taxi nell’albergo e il giorno dopo si fa riaccompagnare nel posto del giorno prima, fa altri venti km e ritorna sempre in auto all’albergo. E via così. Sempre, rigorosamente, senza zaino. E se c’è un pezzo di itinerario poco interessante? Quando la strada coincide con una provinciale trafficatissima? Facile, si salta, chissenefrega. E alla fine della giornata conti i km. Virtuali trenta, reali venti. Il nostro moralismo esplode. Ma che razza di viandante sei! Questo è cammino dell’ipocrisia. Giorgio lo vedo dubbioso: “Pensa che bello senza questo mostro sulle spalle”. Io faccio l’intransigente. “Potevamo starcene anche a casa a vedere Matrix”. A guardare superficialmente la gente che cammina per strada sembra tutta uguale. Ma per i puristi, quelli che mai camminerebbero sull’asfalto accanto ai Tir e alle Ducati roboanti, loro sono i professionisti e noi i dilettanti, loro sono la “nera” delle Tofane e noi il fuori pista, loro sono la nouvelle cuisine e noi la trattoria, loro sono l’organizzazione e noi l’anarchia. Per loro noi facciamo solo apparentemente la stessa cosa. Siamo compagni che sbagliano. A noi viene in mente che loro sono il villaggio vacanze e noi il vagabondaggio. Per noi anche l’asfalto bollente ha un senso, anche se riesce difficile da capire. Quello che vogliamo fare in questa occasione è percorrere l’Italia, attraverso le strade, i paesi, i bar, la gente, i dialetti. Trovando un compromesso tra il tempo e lo spazio, tra la bellezza dei paesaggi e la lunga distanza da percorrere. I sentieri piacciono anche a noi ma sarà pewr un’altra occasione. Un giorno si gioca a briscola e un altro a bridge. Dopo qualche km comincia anche la discussione politica, quando Guglielmo si accorge di camminare accanto a due pericolosi comunisti. Cerchiamo di indovinare. Odia Berlusconi, non sembrerebbe un appassionato di Casini e Buttiglione. Restano Bossi o Fini. Io direi Fini. Cominciamo a prenderlo in giro e lui sta al gioco. “Tu credi di essere furbo”, mi dice cercando di convincermi che sono le piccole aziende rosse quelle che non pagano le tasse e che nessuna grande azienda fa bilanci falsi e contabilità in nero. “Tu credi di essere furbo ma sei uno stronzo”, insiste dandomi dell’imbecille almeno una ventina di volte. Mi accorgo che provo un sottile piacere nel sentirmi dare ripetutamente dello stronzo da un ricco commercialista di Bologna vestito come un tennista degli anni Trenta. Insiste: “Nessuna grande azienda fa bilanci falsi o contabilità in nero”. Giorgio reagisce: “Ma dove vivi? Ma li leggi i giornali? Le grandi aziende immacolate? Hai mai sentito parlare della Fininvest, della Parmalat, della Cirio. Mani Pulite non ti dice niente?” Anche questa è Italia? Dopo qualche chilometro incontriamo un improbabile ciclista multicolore con tutina sgargiante della Mapei. “Finalmente vi ho trovati”. E’ Giovanni, pensionato di Forlì. Girava per le stradine del forlivese cercando di intercettarci. E ci riesce. Scende di bicicletta e ci accompagna per tutta la giornata insieme alla sua bici. Giovanni ha la mia stessa età. Tanto Guglielmo è un muto ascoltatore di musica classica, tanto Giovanni è un logorroico ossessivo che non molla la presa. Tanto Guglielmo è di destra tanto Giovanni è di sinistra. E così la politica riprende il sopravvento. Ma come in un silenzioso accordo io e Giorgio li lasciamo alle loro paranoie. All’ora di pranzo solito problema. Dove si mangia? Abbiamo i tradizionali pomodorini, cibo ufficiale della “lunga marcetta”, il pane e il prosciutto cotto. Incontriamo una sede del partito repubblicano, con tanto di edera, ormai trasformata in bar-ristorante. Ci passano sotto il naso piatti fumanti e abbondantissimi di fettuccine. Fosse per noi mangeremmo anche. In fondo è quasi l’una. Ma Guglielmo insiste per andare avanti fino a San Varano dove ci aspetta un suo cliente che ha una cava di ghiaia. Ci caschiamo ancora una volta. Ma la colpa è nostra. Dovevamo capirlo che in una cava sarebbe stato difficile mangiare. Così l’amico di Guglielmo praticamente ci rapisce, ci fa salire sulla macchina e ci porta a dieci km di distanza. Io la vivo come una violenza, guardo Giorgio il quale mi sembra più portato verso il coma vigile. Ma anche lui ha l’occhio trovo dell’incazzato. Il cliente del tennista anni Trenta se ne accorge e ci tranquillizza. Sembra il bandito buono, quello che rincuora la ragazzina rapita e le dice: “Non piangere, andrà tutto bene, domani tuo padre paga e tu troni a casa libera”. Il cliente ci dice: “Non vi preoccupate. Vi riporto esattamente dove vi ho presi”. Ma lo dice senza convinzione e senza entusiasmo. Arriviamo finalmente nel “covo”. E’ un ristorante dalle parti di San Martino in Strada. Il proprietario, Alfio, mi sommerge di tortelloni che hanno sul mio fisico un effetto euforizzante. Giorgio si accascia su una fettina e un po’ di Sangiovese. Ci fermiamo un paio di ore per consentire al vento caldo e al sole di scemare. La giornata è pesante. Guglielmo ci lascia e se ne va a Rimini. E’ sbigottito del fatto che chiediamo realmente di tornare indietro. Gli leggiamo negli occhi che il dubbio è diventato certezza. I comunisti sono proprio degli idioti. In realtà non si accorge che anche per noi è una scelta difficile. Tornare indietro e per di più farlo per ripercorrere a piedi in due ore la stessa strada fatta in dieci minuti in auto sembra anche a noi una follia. Per questo giuriamo di non farci rapire mai più. Due ore dopo siamo di nuovo davanti al ristorante di Alfio che ci accoglie con un misto di incredulità e di affetto. Giorgio scopre che è un compagno di passione cestistica. E’ amico di Oscar Eleni, una delle firme più note del giornalismo di basket italiano e ha una selva di parabole con le quali vede lo sport di tutto il mondo. Giorgio gioca a riconoscere i campioni fotografati e appesi al muro. Mayers, Fox, Rogers… per me sono saponette, per loro sono miti. Parlano di tornei di basket e di squadre tipo Vidivici, Montepaschi, Armani, Climamio come se fossero la Bellucci e la Cucinotta. Riprendiamo la strada. Giovanni è ancora con noi e con la sua bici spinta a mano. Continua a parlare. Sotto l’effetto combinato di Sangiovese e agnolotti la situazione della logorrea è peggiorata. Non tace mai. Nemmeno quando parliamo al telefono, nemmeno durante i collegamenti con Popcorner per Radio Due. Ma non basta, comincia a voler fare scherzi tipo lo sgambetto a Giorgio che già si regge in piedi per miracolo o rubare i meie sandali appesi allo zaino. Riusciamo a stento a convincerlo che nessuna delle due idee riuscirebbe a conservarlo in vita. Allora passa la racconto della sua vita, quando lavorava all’ufficio legale dell’Inps (“Non vincevamo una causa che fosse una”), quando giocava a tennis (“una fatica pazzesca”), quando ha scoperto la bici (“che bello andare in salita”). Poi ad un certo punto gli prende l’ossessione di volerci indicare la strada e di consigliarci le scorciatoie. Memori della follia da scorciatoia di Antonio noi rifiutiamo di spostarci dall’itinerario suggerito da Garmin. Ma più ci rifiutiamo più Giovanni insiste. E parla, parla, parla. Gli ultimi chilometri, con salita finale, sono veramente duri soprattutto per Giorgio che ha la febbre. Giovanni gli va vicino e gli dice: “Bè, adesso si va bene, senti che freschetto. Questa è l’ora migliore per camminare”. Giorgio abbandona i buoni propositi della democrazia partecipativa in movimento e gli dice: “Ti uccido”. Ma Giovanni continua a parlare, parlare, parlare.


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1 commento:

Anonimo ha detto...

ragazzi, siete mitici. avrei voluto vedere la faccia di giorgio quando giovanni continuava a parlare...