sabato 7 luglio 2007

-32 bis -ALLA META SI ARRIVA TACENDO.

(da Bolsena a Viterbo, 25 km oggi per un totale di 634 km alla media di 4,6 km all’ora, ore camminate 137, paesi attraversati Montefiascone e Zepponami)

Ma quanti ci avevano detto che non ce l’avremmo fatta? Stavamo mettendo in cantiere un evento che più imbecille non ci può essere e gli amici preferivano dirci che sarebbe stato un fallimento piuttosto che chiederci se non avessimo niente di meglio da fare. E invece no, tiè, siamo a Viterbo, siamo a venti km da Cura di Vetralla, ce l’abbiamo quasi fatta. Giorgio è più prudente di me. Teme la vescica dell’ultima ora, quella tremenda, quella che lo costringe a mettersi in strada anche a costo di farsi male. E quindi parla meno dell’argomento. Il bicchiere mezzo vuoto. Il mio bicchiere mezzo pieno dice invece che ormai è finita, che come al Tour de France per noi domani è la passerella finale verso les Champs Elisées. Luca Mancini, l’assessore al turismo di Vetralla ci telefona e ci avverte che in piazza, alla Cura, davanti alla chiesa e al celebre Bar Cancellieri, ci aspetterà davanti ad un banchetto per un rinfresco. Gli urlo: “Cocomeri!” E cocomeri saranno. Sarà contenta Fulvia di Genova che da tempo mi ha consigliato cocomeri per la mia ritenzione idrica.
Ci lascia Arianna. Quando scendiamo per fare colazione troviamo anche Chris, il suo fidanzato inglese, che è stato svegliato nella notte e si è precipitato. E’ venuto a prenderla commosso dalla telefonata di richiesta di aiuto. Arianna ha tentato di sistemare le sue vesciche ma non ha fatto nulla di ciò che le abbiamo consigliato. Arianna è “de coccio”, come dicono qui nel Lazio. Ieri ha fatto tutto quello che non deve fare una camminatrice e si è beccata le vesciche. Poi non ha seguito i nostri consigli, sgonfiare le bolle, togliere la pelle morta e appiccicare il Compeed, la seconda pelle artificiale. “Non ce l’ho fatta”, dice mostrando il megabubbone che ha dalle parti dell’alluce. “Ma come”, le dico, “hai a disposizione i due più grandi esperti di vesciche del centro-nord e non segui i loro consigli?”.
La sua vescica è gigantesca. Non è un piede con una vescica. E’ una vescica con un piede. Il risultato è la resa senza condizioni. Quando ci aveva detto che avrebbe voluto marciare con noi per tre giorni avevamo accolto la dichiarazione con un sorrisetto, proprio perché le vogliamo bene. Ma non avremmo mai creduto ad un abbandono così veloce e ignominioso. “Forse se avessi parlato un po’ di meno non ti sarebbe successo”, cerco di consolarla. Lei sale sulla macchina e torna a Perugia.
Davanti a una colazione insufficiente (niente succo di pompelmo e niente latte fresco) in uno stanzone che Giorgio definisce una grande sala da albergo romagnolo, pianifichiamo gli ultimi giorni, che potrebbero essere due o anche tre. Franco, che ormai si comporta da padrone di casa, ci dà la notizia fondamentale, mancano 46 km. Parte il dibattito. Io, che due giorni fa volevo fare 30 km al giorno, adesso sostengo la tesi bisogna rallentare e spalmare il chilometraggio mancante su tre giorni. Giorgio che era inorridito di fronte ai miei progetti, adesso vuole correre come un matto e farla finita in due giorni. Le motivazioni sono quelle di due giorni fa, ma invertite. Ognuno si impadronisce delle vecchie opinioni dell’altro e le fa sue. Alla fine vinco io. O meglio vince Giorgio che sostiene quello che io sostenevo due giorni fa. Giorgio sostiene che avevo ragione e non demorde nemmeno quando io sostengo che avevo torto. Sostiene, Giorgio, che era lui che aveva torto e che io sono uno stronzo perché non voglio riconoscere che avevo ragione. “Sei un venduto. Non ne posso più di voi riformisti”, dice Giorgio il quale quando non trova il succo di pompelmo diventa intrattabile. Non ne posso più. “Va bene, cedo, facciamo quello che volevo io”.
E partiamo, con l’obbiettivo di arrivare a Cura in due giorni. Come ho sempre sostenuto. Prima di cambiare idea.
Con un certo senso di nostalgia lasciamo l’albergo “I platani”, detto anche il “Moderno”. Ci sfugge il senso della sua modernità. Ieri sera però abbiamo capito in che cosa è avanti, quando rientrando dalla cena ci infiliamo nell’ascensore che non parte. Arriva la proprietaria. Le chiedo: “Ma l’ascensore è rotto?” “No, un attimo che lo accendo”. E gira un interruttore nascosto. Ecco, alzi la mano chi di voi ha mai incontrato nella sua vita un ascensore che si accende e si spegne. Taccagneria o sviluppo compatibile? Braccino corto o comportamento etico e responsabile?
Partita Arianna e con lei la sua allegria molesta, la sua chiacchiera inarrestabile, ci ritroviamo sulla Cassia, in fila indiana come non siamo mai stati, io davanti, poi Franco, poi Giorgio, poi Paolo più traballante del solito. Zitti, testa bassa, sudore colante. Un solo obbiettivo. Andare, andare, andare. L’asfalto è bollente. E’ sabato, fioriscono le moto, quelle che fanno vroom vroom vroom e piegano in curva e ti sfiorano in un continuo svicolare fra le macchine che mette paura. Mettono paura anche tutte le auto con i fiocchetti bianchi. Cos’è oggi questa mania di sposarsi? Lo scopriamo subito. E’ una data magica, 07-07-07. Sembra che in Egitto sia figo sposarsi in questa data simmetrica. Che cosa c’entri Bolsena con l’Egitto ci sfugge. Ogni tanto qualche cartello ricorda che siamo sulla Francigena, la strada che fa il verso al camino de Santiago de Compostela e parte da Canterbury per arrivare a Roma. Ma Cassia e Francigena non vanno sempre d’accordo. Ogni tanto si lasciano, ogni tanto si rimettono insieme. Noi ce ne freghiamo e seguiamo la Franchigena, cioè la via che ci indica Franco.
Zitti, testa bassa, sudore colante. Secondo me è la realtà che ci riacchiappa. Sono i pensieri di tutti i giorni che riprendono possesso della nostra quotidianità. E’ il domani che riconquista il suo solito posto. I ritmi lenti che l’hanno fatta da padrone per trenta giorni, capiscono che stanno tornando i giorni difficili. Secondo Giorgio, invece, stiamo perdendo la dimensione del viaggio senza tempo. L’arrivo, presenza silenziosa finora, è diventato un compagno di viaggio assordante. “Stando zitti abbiamo la sensazione di arrivare prima”, dice. “Manca la profondità : quando stavamo a Schio non vedevamo l’arrivo e non riuscivamo nemmeno ad immaginarlo”. Anche in questo caso sono convinto di avere ragione io. Però le cose che dice Giorgio mi sembrano più zen e mi viene la voglia di cambiare idea anche stavolta. Ma quando mi accorgo che anche lui sta avendo lo stesso pensiero, mi astengo.
Non c’è che il rettifilo per cambiare l’animo umano. Ma i rettifili della Cassia verso Viterbo hanno un potere straordinario. Con l’aiuto del caldo riescono a convincere due normalissimi camminatori che sono diventati dei filosofi del viaggio in grado di pontificare
su mobilità, sosta, viaggio interiore e cose del genere. Io mi sono sciroppato tutto il libro di Duccio Demetrio, “Filosofia del camminare”. E lo rovescio in una botta sola su Giorgio. Ma quando arrivo alla citazione dotta, “I piedi sono importanti, hanno una storia e vanno elogiati”, Giorgio ha un sussulto di orgoglio. “Non ho mai letto Demetrio ma dal male che mi fanno avevo capito da solo che i miei piedi sono importantissimi”.
Siamo nel territorio di Franco, il gigante buono di Cura di Vetralla, il Lothar della lunga marcetta. E’ lui che ci guida fuori dal cratere del lago di Bolsena, ci conduce sulla scorciatoia che ci fa salire a Montefiascone, ci indica il baretto dove fermarci a mangiare, ci fa conoscere due pappagalli che parlano ma non una lingua comprensibile, ci trova l’agriturismo “Antica Sosta” all’altezza della Fiera di Viterbo. Ottima cosa perché ormai viaggiamo a vista, senza cartine e quasi senza Garmin.
Io sono tornato ai miei adorati scarponi. La tendinite è scomparsa e decido di non usare più i sandali Birkenstock che mi hanno causato qualche dolore alle dita e un paio di vesciche. Rimettere i piedi dentro gli accoglienti, fascianti Salomon è piacevolissimo. Come se i piedi tornassero nel grembo materno. Demetrio, che la sa lunga, direbbe: “I piedi sono importanti”.
Con la testa piegata verso il basso, Giorgio mi chiede se ho notato qualcosa. Io non ho notato niente. Ma lui insiste. “Non vedi che da quando siamo nel Lazio il paesaggio è cambiato?” Io non lo vedo. Ma lui vede giardini un po’ trascurati, fossi non rasati, alberi non potati, cartelloni pubblicitari abbandonati. “Ma che fai? Rimpiangi i robottini che falciavano l’erba delle villette del Nord-Est? Non sarà il solito razzismo d’accatto contro il disordine del Sud? “No, non è il solito razzismo d’accatto contro il disordine del Sud”, spiega. “E’ una constatazione amichevole. Non faccio del moralismo. Non c’è il Nord pulito e il Sud sporco. Però il Nord che abbiamo attraversato era pulito e questo Sud è sporco”. “Giorgio qui non siamo nel Sud”, dico io tanto per dire qualcosa anche senza senso. E Giorgio, che quando ci si mette non molla la presa: “Allora il Nord è pulito e il Centro è sporco”.
Ormai è sera. Arriva da Roma Barbara Melotti, detta Melba, la nostra centrale operativa. La donna che cura il blog in mia assenza, che pubblica le foto e i video della marcetta e che manda la newsletter alla mailing list. Farà l’ultima tappa, insieme a noi quattro ad Angela, la moglie del gigante buono e a Luca Di Ciaccio. La guardo e penso ma adesso chi farà tutte queste cose? Lei mi legge nel pensiero e dice:”Tu”.


Tutte le foto di oggi.
noi siamo qui - video

4 commenti:

Vittorio Grondona - Bologna ha detto...

Io ho taciuto fino adesso su due particolari della lunga marcia, di cui il primo abbastanza curioso: 1) come mai c'è il bis su quasi tutti i titoli dei resocont1 giornalieri: 1, 2, 3, 4, 4bis (?) e così via alternando fino al 14, poi tutti "bis"?
2) Visto il risultato reale della media oraria (4,6 Km), non sarebbe opportuno che con l'eventuale prossima fornitura di magliette all'interno del cerchietto rosso facesse bella mostra di sé un bel 5- (cinque meno)?
Ovviamente è tutta invidia la mia... Io non riuscirei mai a fare più di due chilometri a piedi! All'arrivo un cicchetto di grappa vi sarà sicuramente amico. Confermo che per i miei gusti il posto del pompelmo è il lavandino. Il latte invece no... Più si va verso sud è più facile che quello fresco sia nostrano... E quello nostrano è veramente buono!

Isabella Guarini ha detto...

Qualche problema contro il Sud l'avete! Anche nei confronti di Arianna non siete stati tanto ospitali. La colpa è delle carte geografiche orientate verso il Nord, mentre anticamente l'Italia era rappresentata al contrario, con il Sud, ovvero il piede dello Stivale-Italia, in alto. Poiché andate a piedi dovreste recuperare l'antica cartografia, tanto per essere in sintonia con i tempi! Sentirò la mancanzza del vostro sconsiderato viaggio verso il Sud!

sarkis ha detto...

Fuori rotta, ma col cuore oggi ero con voi, caparbi camminatori a briglia sciolta.
Ho camminato sotto la pioggia lungo un sentiero della Valle d'Aosta (mia terra natale). Prudentemente, date le condizioni metereologiche avverse ho rinunciato alla meta, ma ho assaporato lo stesso il ritmo lento dei miei passi.
Che dirvi di più? Siete stati meravigliosi nel realizzare l’idea bislacca di camminare da Lavarone a Cura di Vetralla con le vesciche ai piedi e la sana curiosità di vedere come sarebbe andata a finire (ma è veramente finita?... Fossi in voi non ne sarei così tanto sicuro).
Complimenti Claudio e Giorgio!!! Vi abbraccio virtualmente. Al prossimo contagio.
Vi ho seguito, vi ho sostenuto (moralmente) e cammino ancora più che posso.
Ciao. Giuseppe

Anonimo ha detto...

ragazzi, mi mancherete: quotidianamente leggevo il resoconto della giornata e mi sembrava di essere lì con voi. nn potreste ritornare a lavarone a piedi?