mercoledì 4 luglio 2007

-29 bis- UN MILIONE DI PASSI PER UNO

(da Tre Berte di Montepulciano a Ponticelli, 22 km oggi per un totale di 547 km alla media di 4,6 km all'ora, ore camminate 118, paesi attraversati Montallese, Giovancorso, Chiusi)

Lattine di Coca Cola, bottiglie di birra, pacchetti vuoti di Marlboro e Ms, cicche, Fanta, Gatorade, scatole di Daygum, bicchieri di Estathè, un'infinità di bottigliette di plastica di acqua minerale. Tutta roba cotta dal sole, una lunga corsia di monnezza che costeggia le strade italiane senza che alcuno si faccia carico di ramazzarla e portarla in qualche piattaforma ecologica. E così noi possiamo inventarci sociologi e fare un inventario che ci consente di tracciare la mappa dei consumi degli automobilisti italiani e della loro maleducazione. Abbiamo trovato anche una confezione di Viagra, due guanti da pittore, qualche pannolino in attesa di essere biodegradato. Nessun preservativo. Viene da chiedersi che cosa pensino i nostri concittadini quando aprono il finestrino e svuotano le loro linde macchinette. E' vero che sono tutti prodotti usa e getta. Ma dopo averli usati, devono proprio gettarli dove capita?

I bordi delle strade provinciali e statali che stiamo percorrendo sono un letamaio. Quand'è che qualcuno si prenderà la briga di pulirli dai tanti cadaveri di ricci finiti sotto le ruote delle macchine? Abbiamo visto bisce, serpentelli, vipere, rospi, topi. Oggi vediamo anche una piccola volpe, lì, in attesa di decomporsi. Sembra che dorma, poverina. Nessun gatto, nessun cane. Si sono fatti furbi? Oppure per loro la pietà umana prevede che vengano spostati? Fine del pippone socio-ecologico.

Le strade, che una volta erano il regno dei pedoni, oggi sono la proprietà esclusiva delle quattro ruote. Le macchine sfrecciano a pochi centimetri dai nostri gomiti e spesso leggiamo sguardi di fastidio negli occhi degli autisti.Qualche volta ci fanno dei gestacci, spesso ci suonano il clacson per invitarci a spostarci ulteriormente, magari dentro la roggia o dentro il fosso. Siamo una presenza fastidiosa, inopportuna, invadente. E' una legge non scritta: le strade non sono per i pedoni, tantomeno per i viandanti. "Ma quand'è che è avvenuto il cambiamento?", chiedo a Giorgio. "Quand'è che le strade sono state scippate ai camminatori?" Giorgio ci pensa un po', aggrotta le ciglia, sembra cercare nella memoria e poi dice: "Non lo so. Sicuramente io non ero ancora nato ma tu forse sì".

In preda a questi pensieri profondi percorriamo lunghi rettifili che ci portano dalla provincia senese a quella perugina. Passiamo il confine regionale. E' la nostra quinta regione, dopo Trentino Alto Adige, Veneto, Emilia Romagna e Toscana. "Un quarto delle regioni italiane", pensiamo con orgoglio. Il grande tempo libero che abbiamo a disposizione ci spinge a fare fondamentali calcoli. Quante province abbiamo passato? Dieci? Quindici? Quanti passi abbiamo fatto? Più o meno di un milione per uno? Quanti litri di acqua avremo bevuto? 100? 150? Domande senza utilità per risposte che non avremo mai.

Ma oggi è una giornata meditativa. Dopo qualche chilometro ci accorgiamo di essere in una specie di simbolico punto di snodo della mobilità e della comunicazione dell'intera Italia. Siamo sulla statale 326 che procede parallelamente all'Autostrada del sole. Dall'altra parte, a poche centinaia di metri, ben due linee ferroviarie, quella tradizionale e la direttissima Roma-Firenze. Il dominio dell'Alta Velocità e noi, lì in mezzo, a rappresentare la Bassa Velocità, l'Andamento Lento, lo Slow Walking. Ti senti molto "lento", molto "pesante", molto anacronistico e in definitiva anche un poco pirla. In questo metaforico intrigo di doppie velocità noi siamo quelli che non ce la fanno oppure quelli che hanno capito? Quando vediamo le facce degli automobilisti che ci vengono incontro, tesi, la sigaretta fra le labbra, il telefonino all'orecchio, l'occhio fisso sul navigatore non ci sembra di vedere esseri sereni e liberi. Ci sfrecciano accanto, a velocità da galera, con l'espressione preoccupata di chi è perennemente in ritardo all'appuntamento. A quel punto, noi, con tutti i nostri carichi da zaino, con il sudore che ci cola dalla fronte, capiamo di essere sicuramente più leggeri e liberi. Solo gli avvisatori elettronici di velocità di Montallese, che indicano agli automobilisti a quanti chilometri stanno andando, non ci discriminano e ci trattano come una qualunque vettura. Quando gli passiamo davanti indicano correttamente che stiamo andando a 5 km all'ora.

Riflettiamo anche, in questa giornata di trasferimento lontani da paesi e da città, su ciò che abbiamo visto finora. Abbiamo visto pochi poliziotti, tante autoambulanze, nessun incidente, tranne il fornaio di Camaldoli, un discreto numero di carabinieri, nessun prete, e quanto ai pompieri, solo oggi vediamo due autopompe.

Il paesaggio continua a cambiare. Imperversano ancora i girasole che rallegrano la pianura con il loro giallo gioioso, ma improvvisamente, salendo verso Chiusi, esplodono gli ulivi. Abbiamo il tempo di ammirarli, insieme ai pini marittimi e ai cipressi, poiché la salita per Chiusi ci vede più lenti del solito.

La giornata non presenta grandi avventure, se escludiamo la scoperta del minimarket più brutto della Toscana e l'incontro con Domenico che gira su un camioncino vendendo frutta in cassette con su scritto Sabato. Camminiamo tutto il giorno sotto un cielo grigio che promette acqua ma non mantiene. Ce n'è per tenere la mantellina a portata di mano, unica precauzione che si rivelerà esagerata. Dopo 22 km, per la prima volta da quando siamo partiti, ci fermiamo come da programma. Siamo ad una specie di autogrill sotto Citta della Pieve. Dormiremo sopra le pompe di benzina, ma l'albergo Fondovalle non è male, il ristorante, Quo Vadis (roba proprio per noi) di buon livello, il silenzio assicurato. L'albergo oltretutto, ospita spesso attori impegnati nella fiction Carabinieri. La foto della Marcuzzi giganteggia dietro la reception. Ma nessuna Marcuzzi è presente in albergo. A noi, delusi, non resta che salire in camera, versare abbondanti dosi di detersivo finalmente acquistato, e fare un grande bucato, il primo con un vero sapone dopo tanti lavaggi fatti con le piccole confezioni di shampoo-doccia degli alberghi. Riportare a bianco i nostri calzini e le nostre magliette è impresa disperata anche per il sapone di Marsiglia liquido. Ma finalmente abbiamo biancheria igienicamente a posto e che emana un profumo di antico bucato della nonna. Ci chiediamo come mai abbiamo aspettato tanto.

Nelle lunghe ore di cammino sostanzialmente monotono ed anche un po' noioso ci tengono compagnia le telefonate. Franco, il gigante buono di Cura di Vetralla ci annuncia che tornerà. Sebino Dispensa ci chiede perché non continuiamo fino alla Sicilia, Tiziana dice che viene con noi se passiamo per la pianura pontina, Luigi, il ristoratore e lottatore greco romano di Riolo, ci manifesta la sua invidia, Patrizia ci conferma che i girasole in Toscana funzionano al contrario, Antonella di Bologna dice che la nostra maglietta le è arrivata ed è bellissima, Sara, la maestrina di Faenza racconta che ogni giorno stampa queste nostre note e le distribuisce sulla spiaggia di Cervia, Federica sostiene che siamo sempre più sorridenti e che Giorgio sembra sempre più figo, le padovane ci fanno la relazione del loro rientro complicato: Elena ha sbagliato treno, Daniela ha perso il biglietto e ha dovuto pagare la multa. Quelli che perdono qualcosa hanno la mia comprensione. Dall'inizio della marcetta ho perso: le mutande, i calzini, il dentifricio, la patente (due volte), la pendrive, la boccetta di crema di Camaldoli per i piedi, la borsa per fare gli impacchi gelati. Giorgio mi guarda con sufficienza. Tutte le mattine fa il giro della mia stanza per recuperare tutta la roba che abbandono per distrazione. Lui, ha perso solo lo spazzolino da denti, il Pico della Mirandola dei miei stivali.


Tutte le foto di oggi.
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3 commenti:

Isabella Guarini ha detto...

I rivoli di monnezza che, purtroppo, si sperdono per le strade introducono a una città come Chiusi a cui sono legata dal dolce ricordo di una estate dei primi anni sessanta, quando mi recai a visitare il Museo etrusco con mio padre che, ogni anno, faceva la cura delle acque a Chianciano. Naturalmente, i miei fratelli più grandi sfuggivano, ma io accompagnavo mio padre perché mi portava a vedere i luoghi tanto famosi per la storia dell'arte. Agli esami, facevo un figurone! Vi ringrazio per avermi fatto rivedere Chiusi, che mi ha aperto il cuore!

sarkis ha detto...

La vostra lentezza (non oltre i 5 kmh, oramai vera filosofia di vita) supera di gran lunga la schizofrenia cinetica di camion, suv, auto, moto, treni e la cecità dei loro occupanti di fronte ad una vita rallentata, quindi più umana.
Che ne sarà dopo il vostro arrivo a Cura di Vetralla? Probabilmente avrete dentro, ancora e più di prima, voglia di camminare, sentirete una struggente malinconia dei passi, della fatica, delle ore condivise. Di fronte a questo non ci sarà Cura che tenga... Ed è un bene.
Vi seguo, vi sostengo e cammino più che posso.
Giuseppe

Anonimo ha detto...

Siamo amiche dell'Antonella di "Asciughello" e grazie a lei siamo venute a conoscenza della vostra impresa. Vi leggiamo spesso e, obbligate a stare sempre sedute in ufficio, siamo molto invidiose. Ci piacerebbe tanto essere con voi e sperimentare le gioie delle vesciche!!
Forza e coraggio, e buon divertimento!
Elisabetta e Elena